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Il generale Min Aung Hlaing si è presentato a Jakarta come un qualsiasi leader democratico. Vestito da civile, accolto dalle autorità locali mentre camminava su un tappeto rosso.Dopo aver escogitato un colpo di stato, aver ucciso oltre 700 persone, aver arrestato oltre 3000 innocenti, provocato terrore per quasi tre mesi, intensificato la guerra civile e aver quasi portato il Paese al collasso , non gli dovrebbe essere garantita una gita così piacevole. Il solo fatto che possa uscire dal Paese impunemente ha dell’incredibile.Sembra che l’ASEAN consideri un successo il fatto di aver portato Min Aung Hlaing in Indonesia per discutere di una crisi che lui stesso ha causato.

La dichiarazione rilasciata subito dopo l’incontro, mostra un gruppo di paesi unito nel richiedere il ripristino della pace.”Va oltre le nostre aspettative”, ha detto il primo ministro malese ai giornalisti.

Ma è stato davvero un successo? C’è valore nella diplomazia. C’è un valore nel risolvere una crisi con mezzi pacifici. Ma la diplomazia non è solo dichiarazioni e non è solo evitare attriti. Questo vertice è fallito in modo molto preoccupante.

-Solo parole: i cinque step proposti a Jakarta sono condivisibili. Il problema sono gli step mancanti. Di sicuro tutti vorrebbero vedere la cessazione della violenza e una soluzione pacifica. Riuscisse a fermare le violenze sarebbe un buon inizio. Ma il consiglio dell’ASEAN non ha indicato chi ha causato questa crisi. Invitare entrambe le parti a trattenersi dalla violenza è un insulto a un movimento che ha protestato in modo largamente pacifico. Non si menziona nemmeno il colpo di stato. Non si riconosce che il popolo vuole che il Myanmar diventi una democrazia e non vengono indicate quali sarebbero le conseguenze se il generale Min Aung Hlaing non rispettasse le richieste. I regimi autoritari trovano terreno fertile proprio a causa della mancanza di conseguenze per le loro azioni. Dopo il genocidio dei Rohingya del 2017, il Tatmadaw sa molto bene che può farla franca agevolmente. Dopo ogni richiamo internazionale alla pace e al dialogo, la reazione naturale è quella di chiedersi: “E se non lo facesse, cosa succederebbe?”

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-Ignorare il problema: una soluzione per avere successo, richiede la chiara individuazione del problema. In questo caso non è la violenza in sé. E non è nemmeno il colpo di stato. Il problema è che un paese di 50 milioni di persone non è disposto a vivere sotto una dittatura che dura da 70 anni. Qualsiasi proposta che non affronti questo punto, non risolverà la crisi del Myanmar. Anche se i soldati smettessero di uccidere e arrestare, la crisi rimarrebbe aperta. La popolazione del Myanmar ha messo in chiaro che vuole che la costituzione del 2008 venga abolita. Se ciò non accadesse, le proteste continuerebbero. Il Tatmadaw per mantenere il potere dovrebbe controllare le proteste, probabilmente incolpando la resistenza per aver minato il processo di pace. Questo è esattamente ciò che le minoranze etniche hanno vissuto per 7 decenni. Essere oppressi e poi essere incolpati per aver rifiutato di essere oppressi.

-Legittimità: Min Aung Hlaing ha calcolato di poter tornare da Jakarta con un bilancio positivo. L’assenza dei primi ministri della Thailandia e del Laos e del presidente delle Filippine ha reso questo vertice meno rilevante. Ma ora il generale ha delle foto da legittimo capo di Stato da mostrare alle sue truppe, ai suoi sostenitori e a chiunque non sia del tutto consapevole di #WhatsHappeningInMyanmar (sono molto più di pensiamo). Proprio come l’operazione della CNN, questo viaggio aiuta la propaganda del Tatmadaw. L’ASEAN ne era sicuramente consapevole, ma ha comunque scelto questa strada. Non è chiaro se l’obiettivo fosse sinceramente quello di contribuire alla risoluzione del caso Myanmar, o se si tratta di un’operazione di PR, magari concertata con Min Aung Hlaing stesso. Di sicuro la reputazione dell’ASEAN, dopo aver glissato sul colpo di stato thailandese, la crisi dei Rohingya e le politiche criminali di Duterte, non è incoraggiante. L’ASEAN potrebbe ancora salvarsi la faccia relazionandosi con il NUG, il governo eletto del Myanmar, ma finora non c’è segno di tutto ciò. E nel caso non facesse, il vero intento dell’ASEAN diventerebbe chiaro.

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Queste dichiarazioni da sole non risolveranno la crisi birmana, e non porteranno la democrazia nel Paese (che dovrebbe essere l’obiettivo finale). Ancora una volta le voci dei birmani e il NUG sono stati ignorati. Governi come quello della Thailandia e del Vietnam sicuramente non simpatizzano con il movimento di resistenza birmano, data la presenza di movimenti simili all’interno dei loro confini. Ancora una volta non c’è stata alcuna condanna per le azioni del Tatmadaw. Questa è la diplomazia al giorno d’oggi. Una diplomazia che non tiene conto delle persone reali e le loro aspirazioni. Una diplomazia che ha l’unico scopo di mantenere il potere ed evitare critiche. Questo tipo di diplomazia senza mordente è quella che oggi consente ai regimi autoritari di espandersi in tutto il mondo. Ciò che accade in Myanmar, non riguarda solo i birmani.

Di sicuro il popolo del Myanmar non accetterà il ritorno dello status quo. Ha assaporato la democrazia (anche se profondamente imperfetta), e non ci rinuncerà facilmente . Questo non è il 1988. La generazione Z è cresciuta in una società quasi libera e sognava di migliorarla ulteriormente. I lavoratori cominciavano a vedere i primi risultati delle lotte sindacali. Stava nascendo una nuova classe media. Milioni di sogni sono stati rubati, e oggi nessuno è disposto a tornare nell’oscurità.

Fino a quando la rivoluzione non avrà successo, il popolo farà sentire la propria voce. E il mondo farebbe bene ad ascoltare.


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